Nei pazienti con psoriasi il coinvolgimento della pelle rappresenta solo l’inizio del disagio: i pazienti anche con un limitato interessamento cutaneo possono sperimentare un forte peso della malattia, riportando un grande impatto sulla qualità della vita,1 e lo sviluppo di ansia sociale e senso di stigma.2
È emerso però che anche uno strumento specifico come il punteggio DLQI, utilizzato frequentemente nella pratica clinica, può non essere adeguato a cogliere il reale impatto della psoriasi sull’HRQoL in determinate aree esaminate.3 D’altra parte i pazienti possono non essere consapevoli del fatto che gli effetti psicosociali della patologia e il loro “peso” sulle decisioni terapeutiche.4
Gli effetti psicologici, infatti, possono rimanere non espressi dal paziente. Vi è infatti un frequente disagio psicologico che porta anche a insoddisfazione e difficoltà nel rapporto con il medico. In base a dati di un Rapporto Censis – che analizza il vissuto dei pazienti con psoriasi – la paura dell’evoluzione della malattia (quasi 65%), la vergogna per i segni sul corpo (56%) e il fastidio per il timore che le altre persone hanno di essere contagiate (52% circa) condizionano fortemente la condizione psico-fisica dei pazienti: solo il 24% si dichiara soddisfatto della propria vita. La grande parte sviluppa un senso di rassegnazione, il 48% dei pazienti più gravi, riconosce invece di avere spesso periodi di depressione.5
Questo determina conseguenze sia cliniche (sfiducia nella terapia, riduzione dell’aderenza terapeutica) che psicologiche (stress, peggioramento della qualità di vita) che sociali (impoverimento delle relazioni sociali, impatto sulla produttività).6
È dunque importante valutare anche le condizioni psicologiche del paziente.7